In occasione del Rossini Opera Festival 2021 pubblichiamo l’intervista che i fotografi ufficiali del prestigioso festival hanno concesso in esclusiva ad Operafashion. Un incontro fortemente voluto, lungamente preparato in cui Fulvia Amati e Silvano Bacciardi hanno aperto lo scrigno della loro memoria e della loro arte per farci partecipi dei segreti che stanno dietro ad ogni loro scatto e dell’ amore per il proprio lavoro e per il Teatro.

Un’ osmosi totale.
“Ho accettato istintivamente questa richiesta “impertinente” di intervista doppia e solo ora che ho completato le risposte comprendo la natura della mia difficoltà nel raccontare in prima persona.”
“E’ indispensabile sapere però che in 32 anni di fotografia di teatro, io e Fulvia abbiamo condiviso nella vita e nel lavoro la passione per la fotografia e per il teatro riuscendo in maniera sistematica a confonderci e con-fondere esattamente tutto, compresa la paternità di tante immagini fotografiche.”
Silvano Bacciardi
Una carriera trentennale, un lavoro di eccellenza. Quando avete capito che la fotografia di scena era la vostra strada? Il vostro lavoro?
AMATI (A): Ho frequentato l’Accademia di Belle Arti di Urbino sezione di scenografia. Ho imparato ad amare il teatro musicale facendo parte della compagnia teatrale “La macchina del vento”, un gruppo di ragazzi che, sotto la guida di un vero maestro come Gabbris Ferrari, preparavano “Orfeo ed Euridice”, uno spettacolo di grandi marionette costruite per intero da noi studenti. All’interno di questa esperienza, ho iniziato a fotografare tutte le attività che si svolgevano dietro le quinte e in seguito anche la scena. Dopo di che, ho continuato a fare fotografie anche per altre compagnie e piccoli festival di teatro. Contemporaneamente, ho avuto l’occasione di curare le scene e i costumi di alcuni spettacoli per il teatro della città di Fiume, grazie ai contatti che avevo con l’università di Trieste.
Ma, alla fine, ho scelto la fotografia.
BACCIARDI (B): Mi sono diplomato all’ISIA di Urbino, dove ho appreso i primi rudimenti di fotografia. Nonostante il mio spiccato interesse per la fotografia, ho iniziato il mio percorso lavorativo come grafico e art director presso l’agenzia Armando Testa a Torino e a Roma. Sul finire degli anni ’80, quando ho capito che si poteva abbandonare la “dea” della pubblicità e della grafica senza peccare di eresia, ho deciso di tornare a vivere nella mia provincia per occuparmi di fotografia di scena affiancando Fulvia che, nel frattempo, aveva iniziato il rapporto con il Rossini Opera Festival. Non fu una decisione semplice: lasciavo un lavoro sicuro (che però non mi coinvolgeva troppo) per intraprendere una strada incerta ma estremamente affascinante.

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La prima foto che avete scattato?
A: Avevo 17 anni e nel mio paese (Urbania) fu organizzata una piccola stagione teatrale di avanguardia: con la mia prima K 1000 (Reflex Pentax manuale n.d.r) mi intrufolai dentro il teatro per assistere alle prove e mi ritrovai a fare le mie prime foto di scena.
B: Sinceramente non la ricordo, ma con molta probabilità sarà stata un’ immagine che emulava le opere di Mario Giacomelli.
Il rapporto con la macchina fotografica e con i grandi fotografi del passato. Chi vi ha ispirato e chi è, se c’è, uno dei vostri maestri spirituali?
A: Il mio rapporto con la macchina fotografica è del tutto empirico, lo è stato con l’analogico e lo è con il digitale. Uno dei fotografi che più mi ha ispirato per la fotografia di scena è Maurizio Buscarino. E’con lui che ho pensato che attraverso la fotografia di scena si poteva andare oltre la documentazione dello spettacolo per arrivare, in qualche modo, a farne parte.
B: Con la macchina fotografica come strumento non ho mai avuto (come spesso invece riferiscono molti fotografi) alcun rapporto “particolare”, nè sono mai stato “malato di tecnica” nonostante la fotografia di teatro presenti spesso difficoltà, a volte non di poco conto, specie nel periodo “analogico” dei nostri inizi. Conoscere la storia della fotografia è essenziale ed imprescindibile per poter fare il proprio lavoro con coscienza e cognizione.. dico di più, ritengo fondamentale conoscere la storia di tutti i generi fotografici, non solo quelli di riferimento.
Devo molto a tanti, grandi fotografi del passato: Evans, Penn, Avedon, per arrivare a Giacomelli e Gioli, ma l’elenco sarebbe lunghissimo….. Tra i grandi fotografi di teatro, cito volentieri l’opera enorme di Maurizio Buscarino.

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Fotografia e musica sono due passioni, due modi per esprimersi. Come si conciliano nelle vostre fotografie?
A: Ho imparato ad amare la musica lirica fotografando l’Opera. La musica mi porta ad coinvolgimento totale, quasi fisico: uno stato ottimale per realizzare buone immagini.
B: Ci sono tanti parallelismi possibili tra fotografia e musica, entrambe fanno riferimento alla geometria e alla matematica. Mi piace pensare che le foto di scena siano il frutto di un’esperienza non solo visiva ma anche uditiva. Direi che il prossimo progetto fotografico potrebbe essere la verifica di quanta musica entra e rimane in una fotografia.

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Lavorate molto su commissione per il teatro, la moda, il design: non c’è il rischio di perdere in creatività? Riuscite a ritagliarvi uno spazio da dedicare ai vostri progetti personali?
A: La creatività va alimentata costantemente; lavorare tanto ci permette di tenerla in allenamento e di applicarla senza confini tra i generi. E’ piuttosto in periodi come questi che la creatività soffre, pur disponendo di più tempo! All’interno di ogni lavoro teatrale, comunque, cerchiamo sempre di sviluppare ricerche personali, per esempio sugli sguardi o sui movimenti delle mani…
B: Ho sempre pensato che, in termini di creatività, non sia un vantaggio avere una specializzazione. Ritengo fondamentale l’ibridazione, la commistione e l’incontro tra i vari generi fotografici come avviene nella musica e nell’arte in senso lato. Da anni riusciamo a portare avanti i nostri progetti personali e lo facciamo rimanendo nell’ambito della fotografia di scena: molte delle nostre esposizioni propongono argomenti riguardanti il teatro, al di fuori del lavoro di documentazione che ci viene richiesto.
Studio fotografico a Pesaro, città natale di Rossini. Dal 1989 siete fotografi ufficiali del Rossini Opera Festival, fra i festival estivi più famosi al mondo. Che cosa rappresenta, per voi Gioachino Rossini?
A: Lo studio fotografico è nato a Pesaro proprio perché la città, e persone speciali come Gianfranco Mariotti, ci hanno accolto dandoci la grande opportunità di essere i fotografi del Rossini Opera Festival. Rossini, attraverso le sue opere e la sua vita, è uno stimolo costante al nostro processo di creazione e di rinnovamento.

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Quali sono i caratteri distintivi delle vostre fotografie di scena?
A: Il carattere distintivo è sicuramente quello che noi chiamiamo “carattere circolare”: cerchiamo di vedere lo spettacolo da molti punti di vista. Questa è la costante del nostro lavoro.
B: In primis, direi, la partecipazione emotiva che ci permette di evitare l’idea di staticità dell’immagine e dell’unicità del punto di vista e che ci porta a cercare sempre il luogo più vicino e meno convenzionale per fotografare, in modo di essere il più possibile “in scena”. Ci piace raccontare uno spettacolo, con sequenze fotografiche che restituiscano l’idea di un montaggio cinematografico; un primo piano, un campo lungo, un controcampo, una vista laterale etc.

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Parlateci nello specifico del processo fotografico. Come vi muovete nella fase di ricerca e poi di realizzazione di un lavoro? Con quale criterio si fotografa un’opera lirica?
A: Il processo fotografico parte già dalla presentazione dell’idea del regista e continua con la prima riunione delle compagnie passando per tutte le prove di palcoscenico, di sartoria, musicali fino alle pause al bar. Questo ci permette di far parte (diciamo così) della compagnia e di essere cosi “accettati” in palcoscenico sia a fianco del regista che del cantante in prova. Uno sguardo sicuramente privilegiato.
B: Potrei risponderti che si può fotografare solo ciò che si conosce, ma a pensarci bene questo lo ha già detto qualcun altro… Per quello che riguarda il ROF in particolare, abbiamo la fortuna e il privilegio di vedere nascere un’opera dal momento della presentazione del progetto fino al momento dello smontaggio. Conoscere tutte le fasi di costruzione di una regia e le intenzionalità dei vari personaggi è un grande vantaggio per la realizzazione del lavoro e ci mette nelle condizioni di verificare continuamente quanto, di questo senso, si deposita nelle nostre fotografie.

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Ci sono delle costanti nel vostro linguaggio che ritrovate anche riguardando le fotografie fatte in passato?
A: Sicuramente la vicinanza al palcoscenico.
B: È difficile rispondere a questa domanda… nell’arco di oltre 30 anni è cambiato il nostro approccio alla fotografia di teatro e sono cambiati radicalmente anche i nostri strumenti di ripresa, soprattutto con l’avvento del digitale che ha pressochè estinto i mezzi di comunicazione e divulgazione tradizionali, cartacei, a cui gran parte delle nostre immagini era destinata. Conseguentemente ed inevitabilmente, i nuovi media e il bulimico consumo delle immagini da parte dei social, gli interessi spesso più spiccioli e voyeristici delle nuove platee digitali hanno mutato anche la tipologia delle immagini che ci vengono richieste. Abbiamo quindi imparato a fare anche qualche foto da “like”, senza naturalmente dimenticare il discorso di documentazione (serio) dell’opera per l’archivio storico del ROF. Forse, l’unica costante è quella della curiosità e dello stupore oltre alla consapevolezza che la fotografia deve raccontare qualcosa di più delle intenzioni teatrali che sta documentando.


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Avete fotografato le più grandi star internazionali dell’opera lirica, grandi direttori d’orchestra e registi. Credo siano esperienze indimenticabili, come avete vissuto e vivete questi momenti…
A: Indimenticabili, appunto! Credo di ricordare proprio di tutti! Ho vissuto pienamente ogni messa in scena, il processo creativo di ogni artista. Ho conosciuto artisti già affermati ed artisti ai primi passi. E’ emozionante poter vivere tutta questa energia, è un regalo che ci viene fatto ogni anno, da più di trent’anni. Il mio rispetto per il lavoro degli artisti è assoluto: conosco la loro fatica e con la mia presenza costante cerco di conquistarne la fiducia, così si concedono totalmente e liberamente al mio obiettivo.
B: Sin dall’inizio ho percepito l’importanza di quello che ero chiamato a raccontare con le fotografie e temevo di non essere all’altezza della situazione. Con il tempo, molti cantanti, registi, direttori, scenografi, costumisti sono diventati amici e quel timore reverenziale sono riuscito a superarlo: la fotografia ne ha tratto grandi vantaggi!


C’è una foto alla quale siete particolarmente affezionati? Perché?
A: 1987, il mio primo anno al ROF è stato in tutto e per tutto emozionante. La fotografia che più mi ricorda quell’anno bellissimo è quella di Marilyn Horne nel ruolo di Andromaca in Ermione. Gli apprezzamenti che questa grande star fece al mio lavoro furono per me di grande incoraggiamento.

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B: Quella che ritrae il maestro Michele Mariotti all’età di nove anni. Non è una foto di scena ma, ogni volta che la guardo, capisco quale fucina per gli artisti sia il Rossini Opera Festival! Nell’estate del 1991 stavo fotografando il maestro Gatti nel foyer del teatro Rossini di Pesaro. Il “ragazzino” Michele Mariotti, che assisteva allo shooting, volle essere immortalato nello stesso set. Qualche tempo dopo mi restituì una copia stampata di quella foto, firmata e con tanto di dedica per me e Fulvia, come si addice ad un grande direttore d’orchestra… che è poi diventato. Destino.

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Quali Prime e/o quali produzioni del Rossini Opera Festival ricordate con maggiore emozione?
A: Io vivo intensamente tutte le produzioni e quindi sono molti gli spettacoli a cui sono legata per vari motivi. Sicuramente i primi anni sono stati molto intensi, emotivamente vissuti a pieno, con un “popolo del ROF”(così ci piace chiamarci) coinvolto e coinvolgente, fatto di giovani professionisti che hanno messo tutta la passione possibile perchè questa avventura straordinaria si potesse realizzare.
B: Ogni produzione è speciale a modo suo. Rispetto al discorso emotivo/fotografico mi piace ricordare il Moise et Faraon del 1997: Graham Vick mise in scena uno spettacolo che usava lo spazio teatrale del vecchio Palafestival in forma nuova ed inedita per Pesaro, dando al pubblico un coinvolgimento totale con la scena e con i protagonisti.
Ci sono registi, scenografi, direttori d’orchestra, artisti che hanno influenzato particolarmente il vostro cammino?
A: Come ho già detto, ogni artista arriva con la sua personalità e tutti ti regalano qualcosa. Sicuramente c’è chi si concede di più e questo influisce sul risultato fotografico.
B: Tanti, è difficile ricordarli tutti! Potrei citare Ronconi, Vick, Luzzati, Abbado, Zedda…

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Nel fotografare un’opera lirica, oltre a conoscere l’evoluzione (anche psicologica) di un personaggio, è da conoscere bene l’artista che dà vita a quel personaggio. Come fate?
B: Nel caso del Rossini Opera Festival questo avviene in modo naturale. Come già detto, partecipiamo a quasi tutti gli incontri di studio e di regia quindi la conoscenza degli interpreti e dei loro personaggi viene di conseguenza. In altri casi, quando non abbiamo potuto seguire le prove, dobbiamo affidarci all’intuito.

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Ci sono stati artisti che hanno reso difficile questa “conoscenza”?
B: Ci sono sempre artisti più disponibili ed empatici di altri. In molti casi i più grandi sono anche incredibilmente i più disponibili. Tornando al ROF, però, è veramente difficile che dopo tutto il tempo passato insieme in ogni edizione, qualche artista rimanga ancora sulle sue.
Nel giugno 2020, il Rossini Opera Festival ha presentato sui suoi canali social “La Bottega del ROF”, una serie di vostri scatti all’interno dei laboratori e dietro le quinte dei teatri durante le fasi della preparazione e costruzione degli spettacoli. Come sono nati questi scatti? Perché la scelta del bianco e nero?
A: In un periodo funestato dal Covid, la scelta di portare sui social le foto delle maestranze tecniche di uno spettacolo derivava dall’esigenza di mettere in primo piano tutte le persone che vivono con il lavoro del teatro e che in quel momento erano costretti a casa, senza lavoro e spesso con pochissimi sostegni al reddito.
B: Questa serie di scatti è relativa ad una mostra – allestita presso il Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro – ed al libro dal titolo La fabbrica di Rossini – dietro le quinte del ROF che fu uno degli eventi collaterali del ROF 2007. Abbiamo sempre avuto un interesse particolare per i laboratori del Festival e, sin dal 1987, ne documentiamo tutte le lavorazioni. Ci piace riservare uno sguardo particolare ed attento per tutte le maestranze che lavorano dietro le quinte e non raggiungono quasi mai gli onori della cronaca.


Intervista splendida,Amati e Bacciardi in elegante equilibrio tra tecnica e passione.