
Pianista, musicologo e studioso del Belcanto. Simone Di Crescenzo, “italiano di nascita ma cosmopolita per amore della musica”, dopo il diploma in Conservatorio, ha proseguito la sua formazione all’Accademia di Arti e Mestieri del Teatro alla Scala di Milano e presso il Centro Universale del Belcanto di Modena con Mirella Freni. Sin dall’esordio della sua attività artistica è emerso in lui un vivo interesse per la musica vocale e cameristica, tanto da aver collaborato in veste di pianista e di maestro preparatore con musicisti di rilievo internazionale e star mondiali della lirica quali Sumi Jo e Daniela Dessì, del quale è stato pianista personale per alcuni anni. Oggi Di Crescenzo è uno dei giovani pianisti eredi della tradizione italiana belcantistica a cui si approccia anche in qualità di musicologo. Vari gli incarichi istituzionali: fra i più recenti, responsabile musicale per l′Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti” della Fondazione Paolo Grassi, direttore artistico e responsabile organizzativo per una serie di concerti dell′Orchestra Sinfonica “G. Rossini” di Pesaro, dell’Orchestra dell’Opera Italiana di Parma e dall’Orchestra Italiana del Cinema. Attualmente è consulente artistico per il Festival ed il Concorso “A. Toscanini” presso la Fondazione Arturo Toscanini di Parma. Recentissimo, il successo del documentario da lui ideato, dal titolo “Il Belcanto”, con la partecipazione straordinaria di Mariella Devia realizzato per Sky Classica HD in collaborazione con il Museo del Teatro alla Scala di Milano.
Nella sua biografia leggo “pianista dalla formazione ecclettica”: ricorda la prima volta in cui ha suonato il pianoforte? E che pezzo ha suonato?
Mi definisco eclettico poiché riesco a vivere la musica a 360°, non solo quindi sotto l’aspetto performativo. Mi occupo anche di organizzazione, ricerca e di divulgazione: quindi ho un approccio di tipo culturale e non soltanto emotivo con la mia professione. Pescando nel passato, non riesco a ricordare la prima volta che ho suonato il pianoforte, stiamo parlando di circa trent’anni fa, avevo più o meno 4 anni. Ricordo vagamente che iniziai a prendere le prime lezioni di musica presso un’Accademia dove venivano ammessi giovani talenti. Iniziai proprio lì, imparando a leggere le note prim’ancora di saper leggere e scrivere. Il primo brano che ho suonato in pubblico è stato il Minuetto in Sol Maggiore di Bach, un classico.
Se non fosse diventato musicista, quale attività avrebbe svolto?
Probabilmente avrei fatto l’archeologo e con precisione l’egittologo. Ho una passione smisurata per l’Antico Egitto e la sua storia. Mi sarei occupato comunque di arte e di storia, discipline per cui ho una naturale propensione. Nella vita non ho mai pensato di occuparmi di qualcosa in funzione di un guadagno o con lo scopo di avere semplicemente un lavoro. Ho sempre seguito i miei interessi e le mie inclinazioni: non potrei mai lavorare in settori in cui non mi sento coinvolto profondamente.

Tre donne, tre artiste: Mirella Freni, Daniela Dessì e Mariella Devia. Hanno sicuramente influenzato il suo percorso sia come artista che come persona…
Tre donne che hanno segnato la storia del melodramma nel secondo ‘900. Sono stato molto fortunato, ad aver incontrato sul mio percorso tre fra le maggiori cantanti del dopoguerra. Purtroppo due di loro non ci sono più, ma vorrei parlare di loro singolarmente, anche perché hanno segnato momenti diversi della mia vita. Conobbi Mirella Freni nel 2006, negli anni in cui studiavo presso l’Accademia del Teatro alla Scala a Milano. Mi intrufolavo curioso nella sua classe durante le sue lezioni. Fra noi nacque subito una buona intesa, tanto che mi chiese di proseguire i miei studi sull’opera a Modena, sotto la sua guida. Così per i due anni successivi ho seguito regolarmente le sue lezioni in qualità di maestro collaboratore. Dalla Freni ho imparato tutta la base tecnica su cui ho potuto in seguito continuare i miei studi e le mie ricerche sulla vocalità e sul repertorio operistico. Rimane per me un grande esempio di dedizione totale alla musica e al teatro. Con Daniela Dessì, della quale sono stato pianista per alcuni anni, ho avuto un rapporto davvero unico e speciale. Per me è stato un legame non soltanto artistico, ma anche e soprattutto umano. Daniela è stata un’amica, una guida, e allo stesso tempo una musa. Il suo carisma indiscusso, la sua generosità e la sua simpatia travolgente sono costantemente vivi nel mio cuore. Purtroppo la sua scomparsa ci ha separati troppo presto; coltivo ogni giorno il suo ricordo nel mio cuore con immenso affetto e grandissima stima. Lei ha raccolto a piene mani tutta l’eredità delle cantanti che l’hanno preceduta e per molti anni ha incarnato l’ideale del soprano italiano, nel solco della grande tradizione. Una voce unica, un timbro magico, una nobiltà di fraseggio che continuano ad emozionare generazioni di appassionati. L’incontro con Mariella Devia risale a questi ultimi anni. La regina del Belcanto è un monumento nell’interpretazione del repertorio del primo ‘800. Insieme abbiamo collaborato per la realizzazione del mio programma televisivo andato in onda su Classica HD questo scorso inverno.
Il fortunato programma intitolato “Il Belcanto” è stato un progetto molto curato anche dal punto di vista “estetico”…
Si, mi sono impegnato anche da un punto di vista strettamente estetico nella realizzazione del programma. Il Belcanto è per definizione celebrazione della bellezza in senso classico. La cornice che ci ha ospitato, il Museo del Teatro alla Scala, rispondeva perfettamente alle esigenze del documentario. Ho cercato di curare anche il nostro look. Lo stilista Oscar Scirè ha realizzato tutte le creazioni indossate da Mariella Devia durante le riprese. Mentre io ho indossato abiti sartoriali di Canali e Facis. Abbiamo cercato di coniugare la nostra immagine al contesto, speriamo di esserci riusciti al meglio.

Molte le sue collaborazioni… penso al progetto #MissionPaganini o a Dreamland. Quale comunione d’intenti con grandi nomi del panorama artistico-musicale internazionale?
Entrambi questi progetti sono realizzati in collaborazione con Yury Revich, astro del violinismo russo dell’ultima generazione. Yury è un artista puro, un creativo, un visionario. Abbiamo un’ottima intesa sia sul palcoscenico che nella pianificazione artistica di eventi e concerti. #MissionPaganini è la nostra ultima creazione. Un progetto concertistico dedicato alla mitica figura di Paganini. Lo debuttato con questo programma in autunno in Turchia ad Istanbul, mentre la prima italiana è stata a Torino in gennaio per la prestigiosa stagione dei Lingotto Musica. Ci divertiamo molto insieme sia nei nostri viaggi che sul palcoscenico.
Parliamo del suo rapporto con la moda…
Il mio rapporto con la moda è abbastanza personale. Voglio dire che non posso dire di seguire strettamente la moda in tutto e per tutto. Scelgo ciò che mi piace e che mi fa sentire a mio agio. Cerco di declinare ciò che indosso anche in base alle circostanze, che nel mio caso possono essere di natura molto diversa.

In questa intervista pubblichiamo degli scatti inediti in cui indossa una creazione di Christian Pellizzari. Ci parli del suo incontro con questo giovane stilista italiano.
Collaboro con la maison di Christian Pellizzari da qualche anno e amo indossare le sue creazioni. Ciò che mi attrae maggiormente sono i suoi colori, sempre frutto di una grande ricerca. Una ricerca che esplode anche nell’uso delle decorazioni. L’uomo di Pellizzari è sempre raffinato ma allo stesso tempo estroso e vivace. Devo dire che bisogna sposare questa indole per potersi calare perfettamente in questa atmosfera e indossare con disinvoltura i suoi capi. Nello specifico in questi scatti, che ho regalato ad Operafashion, indosso un cappotto su motivi etnici con bordura di pelliccia nera. Insieme al fotografo Mirco Panaccio ci siamo divertiti a declinare questa creazione sia come ispirazione classico-ellenica, nella foto con le colonne, sia come possibile ambientazione naturalistica in un bosco. Due fascinazioni che rispecchiano pienamente le mie passioni, la natura e miei gusti estetici, il classicismo.
Nel suo armadio, uno degli accessori che ama di più ed uno che ama di meno.
Posso dire che gli accessori che amo maggiormente sono diversi: i bracciali di pietre naturali, i gemelli per le camicie e le cravatte. Nel mio armadio non ci sono accessori che non amo, non c’è spazio per il superfluo.
Il suo profumo preferito. I ricordi, le sensazioni a cui esso rimanda quando lo indossa.
Utilizzo solo profumi francesi o mediorientali. Probabilmente uno di quelli che mi rappresenta maggiormente è Ambre Sultan di Serge Lutens. L’essenza nasce da un ricordo di un pezzo di cera d’ambra trovata per caso da Serge Lutens, un dei creatori di essenza più introspettivi e geniali del globo, durante una passeggiata nei souk di Marrakech, dimenticato in una scatola di tuia e ritrovato anni dopo. Secondo Lutens questa fragranza segna il ritorno all’identità e all’autenticità delle materie prime con cui è stata realizzata. Per me questo profumo unisce la raffinatezza di gusto francese con il tocco esotico marocchino: un mix letale.

Sul profilo Instagram di Operafashion abbiamo lanciato #staytogetheronoperafashion: una persona, un oggetto, un animale domestico che solleva sempre il suo umore in tempi di Covid-19.
Direi che la risposta in questo caso è semplice: Tancredi, il mio gatto. Che considero parte della famiglia.
Il periodo di grande difficoltà a seguito della pandemia da Covid-19 non dà certezza alcuna sul futuro del mondo artistico e culturale italiano. Dal suo punto di vista, come cambierà il teatro d’opera?
Io credo che il punto fondamentale di snodo di tutta questa questione che stiamo vivendo sia legato alle cure che gli scienziati riusciranno a trovare. Stanato e distrutto il virus a livello genetico, cosa che ci auspichiamo avvenga il prima possibile, non c’è nessun motivo per cui la vita sociale e quindi musicale e teatrale non debba tornare ad essere quella che era prima. E cosi sarà.

Foto Credits: Mirco Panaccio e Marco Impallomeni
Outfits: Christian Pellizzari, Canali, Facis
Hair stylist: Alfonso Iannotta
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