Il 19 Ottobre, sul palcoscenico dell’ABAO-Bilbao Opera, il soprano australiano Jessica Pratt darà vita alla sua centesima Lucia di Lammermoor. Operafashion festeggia questo importante traguardo con un contributo del critico musicale Federica Fanizza, profonda conoscitrice dell’opera donizettiana.

Sarà Il teatro dell’Opera di Bilbao ABAO ad avere l’onore di raccogliere il traguardo delle 100 repliche di Lucia di Lammermoor con protagonista il soprano Jessica Pratt. Dopo la prima del 19 ottobre le repliche saranno il 21, 25 e 28 ottobre.
Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti: un’opera declinata per 100 volte sempre diverse ed altre ancora saranno, perchè una rappresentazione non è mai uguale ad un’altra pur con lo stesso allestimento e con gli stessi colleghi: cambia il pubblico, sempre diverso ogni volta, giorni diversi. Jessica Pratt deve tanto della sua carriera al personaggio di Lucia Ashton portata in teatri come il Metropolitan Opera di New York, il Théâtre des Champs Elysées di Parigi, il Teatro alla Scala di Milano e il Teatro dell’Opera di Sydney, tappe di un percorso iniziato più di 10 anni fa.
Si fece scoprire in Italia proprio con questo titolo nel 2007, nel Circuito Lirico Lombardo (As.Li.Co), allestimento di Dieter Kaegi. Le cronache di quel periodo ci parlano di un cast giovane: tanti nomi della locandina si sono persi nel corso tempo. Subito, tra tutti, emerge un giovane soprano australiano un pò impacciato in scena ma che si fa subito notare per il patrimonio vocale decisamente notevole per volume ed estensione “ centri particolarmente sonori non ostacolano un registro acuto che svetta con facilità. La scena della pazzia è comunque padroneggiata con grande sicurezza vocale: le agilità risultano facili e ben articolate e si presentano puntualissime all’appello”, così le cronache di allora. Il Circuito As.Li.co è sinonimo di teatri di provincia, punto di partenza di gavette abbastanza lunghe e faticose. Pur partendo tardi con la carriera, debutto a 28 anni, Jessica Pratt ha la capacità di imporsi subito all’attenzione per quel tipo di voce ricca di agilità che le permette di avere in pugno il repertorio del belcanto italiano. Inizia un periodo di rapidi passaggi per i teatri europei tra secondi cast e sostituzioni al volo ma in produzioni che attirano l’attenzione della critica per l’autorevolezza degli allestimenti.
A Zurigo – tra aprile e dicembre 2008 – è presente in due produzioni di Lucia con la regia di Damiano Michieletto, regista con cui lavorerà anche a Torino nel 2016. In questo anno di avvio, le sue Lucie si incastrano tra un ingaggio al Teatro Nazionale di Skopije e sostituzioni in corso d’opera: per esempio, a Bologna in emergenza con la regia di Denis Krief, di fatto la sua seconda produzione.

Nel 2009 si prosegue ancora con sostituzioni autorevoli, a Firenze nell’importante allestimento di Graham Vick, produzione che la rivedrà al Teatro dell’Opera fiorentino come primadonna nel 2015. Si conferma voce che s’impone (rispetto alla media delle Lucie in carriera) per il complesso delle agilità che le permettono di superare, con estrema facilità puntando anche sull’interpretazione, la “scena della pazzia”. Ancora provincia nel 2010, una collaborazione con il Teatro Verdi di Salerno sotto la direzione di Daniel Oren. A seguire Genova in una produzione firmata Gilbert Deflo e, ancora in buca, Daniel Oren; qui, la Pratt si afferma pienamente come interprete di punta per la completa identificazione tra artista e personaggio scenico: un piccolo frammento video della “Spargi l’amaro pianto “testimonia il suo essere cosciente del ruolo nel canto e nella scena.
Il salto di qualità nel 2011 al Teatro La Fenice di Venezia con una produzione internazionale (Fondazione Teatro la Fenice assieme a Houston Grand Opera e Opera Australia di Sydney) firmata da John Doyle e la direzione di Antonino Fogliani. Allestimento “interlocutorio” ma importante per il proseguio della vita artistica della Pratt, con la velata speranza di portare la “sua” Lucia in patria, nella grande sala dedicata a Joan Sutherland . Lo farà nel 2018, proprio con questo allestimento: lei protagonista assoluta sotto la guida dell’esuberante bacchetta di Carlo Montanaro.

Fra 2011 e 2018 altre Lucie più o meno tradizionali, con più o meno sangue versato sulle vesti nunziali in base all’idea che ciascun regista si fa della fanciulla di Lammermoor. Fanciulla ingenua e sognatrice persa dietro ai suoi fantasmi, come quella pensata per il Teatro San Carlo di Napoli, regia di Gianni Amelio, direzione di Nello Santi, anno 2012. Una messa in scena affascinante per l’ambientazione di tradizione, con i costumi di Maurizio Millenotti ed il finale di sposa in nero con velo nunziale che si trasforma in sudario di morte.
Nella stessa direzione la produzione di Filippo Sanjust alla Deutsche Oper di Berlino mentre in altre occasioni Jessica-Lucia vaga in ambienti sospesi tra storia modernità e sperimentazione: regia di Emilio Sagi per l’Israeli Opera di Tel Aviv – adesso riproposta a Bilbao in questa 100 volta – piuttosto che quella di Brokhaus al Teatro Coccia di Novara nel gennaio 2013, replicata immediatamente a Ravenna. Si riprende Lucia nel febbraio del 2014 con il ritorno (tanto auspicato dai fans) al Teatro alla Scala: una produzione conosciutissima firmata da Mary Zimmermann per il Metropolitan Opera di New York. A Milano, arduo confronto con i soprani che l’hanno interpretata nel recente passato proprio in questa produzione (Natalie Dessay, Anna Netrebko, Diana Damrau) e, nello stesso tempo, una competizione tra primo cast e secondo cast, il suo, che ha fatto protendere il pubblico a favore del secondo, per quel suo senso di immedesimazione tra canto e dramma e per quell’esuberanza giovanile che Lucia di Lammermoor sottende nel suo amore impossibile, nonostante una ambientazione (quella della Zimmermann) da dramma naturalistico di fine ‘800.
Qualche settimana dopo, la Pratt si proietta ad Amsterdam, alle prese con le atmosfere allucinate e paranoiche della regia di Monique Wagemakers che pensa Lucia come una donna turbata, persa in un mondo di deliri e incubi notturni, di amplessi carnali. Cambia in questo modo la percezione della nostra eroina. Crescendo professionalmente, l’adesione al personaggio si evolve e l’artista partecipa consapevolmente a ciò che il regista pretende dal suo personaggio. Ronconi affida l’ultima sua prova di regia alla Lucia di Lammermoor dell’Opera di Roma nel 2015, direzione di Roberto Abbado, proprio con protagonista Jessica Pratt che delinea una Lucia completamente fuori dagli schemi e delirante fin dagli inizi, come del resto lo è quella di Damiano Michieletto, costruita modernamente e fin troppo simbolica nella riproposizione al Teatro Regio di Torino, l’anno successivo, sotto l’incalzante direzione musicale di Gianandrea Noseda.

La rappresentazione, in forma di concerto, al Théâtre des Champs-Elysées nel 2017, diretta da Roberto Abbado, in occasione delle celebrazioni per l’anniversario dei 40 anni della morte di Maria Callas, riassume dal punto di vista vocale tutto il percorso fatto in 10 anni di carriera acquisendo maggior robustezza nella parte centrale della voce, maggior consapevolezza nel gestire il complesso delle agilità, acuti, sovracuti. Maturità interpretativa, anche psicologica, nei confronti di un personaggio che alla fine facile non è, in una scrittura musicale che lascia scoperta l’interprete per 20 minuti, sola in palcoscenico con la sua scena di follia vocale.
Roberto Abbado porta Jessica Pratt al Metropolitan Opera con l’allestimento della Zimmermann, là considerato di repertorio. Finalmente in Australia, a Sydney, con l’allestimento di Venezia, orgoglio di chi dimostra di avercela fatta in questa difficile arte. Di nuovo in Europa: questa volta è la Spagna con Valencia, estate 2019, sempre accompagnata da Roberto Abbado alla direzione. Il regista Jean-Louis Grinda trasforma Lucia in una furia omicida, con notevole capacità di squartare il povero Arturo in un ambiente ormai consolidato di un ‘800 non più romantico. Eccoci giunti a Bilbao per la centesima Lucia di Lammermoor, regia consolidata di Emilio Sagi.

Le interpretazioni musicali come gli allestimenti hanno abbandonato il romanticismo della Lucia al chiaro di luna: in questo modo la cadenza della pazzia si è fatta filologica, basta flauto. Dopo i primi esperimenti agli inizi del 2000, ormai consolidato è l’uso della glassarmonica; basta tagli considerando che, fino a non pochi anni fa, nella provincia operistica spesso si ometteva l’atto II scena I, ambientato nella rocca di Ravenswood. Tutti segni della trasformazione del modo e del concepire il teatro lirico; di come un artista dev’essere fedele solo a sè stesso, alla sua evoluzione artistica, al suo canto capace di aderire al personaggio che ogni regia legge in maniera sempre diversa, necessità che l’arte del teatro impone ai suoi artisti.
Federica Fanizza

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